Serie C

"L'altra Campana": dai giovani alle prime squadre, è tempo di cambiare

di Rosario Campana

Pubblicato il 26/08/2023

Un lungo viaggio all'interno dei meandri più nascosti dell'"emisfero pallone". Uno sguardo attento verso le tematiche della Serie D, attraverso una guida d'eccezione, ovvero Rosario Campana, ex tecnico tra le altre di Nola, Marcianise ed Arzanese e massimo conoscitore di questo campionato.
In attesa di conoscere vita, morte, miracoli e curiosità sulle piazze più affascinanti della quarta serie nazionale, vi presentiamo il mister con una panoramica a tutto tondo sul calcio moderno: pregi e difetti del movimento, un antipasto griffato dal nostro maitre. Siamo sicuri che non potrete più farne a meno.

"Parto subito con una confessione: non sono in grado di dire se sono un buon allenatore, ma senza presunzione, posso asserire di essere stato e credo ancora di essere un buon maestro. Dalle giovanili, dove ho avuto l'onore di allenare tra i professionisti, e tra i “grandi”, ho sempre cercato di insegnare calcio e soprattutto di correggere errori. Sin dalle mie prime avventure in panchina sono convinto che un allenamento senza correzioni, per quelli che ne ha bisogno è un allenamento perso, un esercizio inutile.

Insegnare calcio, non può essere solo applicare moduli e distribuire numeri per la disposizione in campo. Bisogna sperimentare, correggere e specialmente nei settori giovanili, dare indicazioni e spiegazioni. La nostra missione non può limitarsi ad “obbligare ciecamente” ad un movimento, non può essere vai destra anziché a sinistra, dritto e non in diagonale, gioca lungo e non corto. Oggi

Molto spesso oggi si assiste allo scimmiottamento dei grandi campionati europei, senza creare un minimo di logica e soprattutto di concetti, spiegando che non si tratta dello stesso calcio.

Prendiamo in esempio i settori giovanili, una volta i vivai italiani avevano una loro identità e rappresentavano un modello, oggi viviamo un periodo di crisi, in cui ha certamente influito la scarsa predisposizione agli investimenti, a migliorare le strutture, a lavorare sui nostri ragazzi, preferendo al talento da formare, lo straniero già infiocchettato.

Oggi in prima squadra arrivano difensori che non si adattano a giocare a quattro perché sono abituati a tre, incapaci di marcare, i centrocampisti vengono valutati più per kilometri percorsi che per la qualità delle giocate ed attaccanti che non conoscono la gioia di un dribbling.

In queste condizioni cosa si può fare? Non voglio far parte della scuola dei nostalgici, il calcio moderno è bellissimo, ma a mio parere oggi In Italia manca una filosofia di gioco univoca, mancano i maestri e manca la pazienza, si pensa troppo è solo al risultato immediato. Guardando indietro, un tempo il catenaccio andava per la maggiore, era un fattore identitario, oggi non esiste più.

In Spagna c’è una cultura nazionale, una mentalità trasferita anche nel calcio con il possesso palla esasperato, a tal punto da diventare un marchio di fabbrica, talvolta finanche noioso. In Germania sono diventati risolutivi, celeri, pratici, nella vita, nella storia ed anche nel calcio, dove il raggiungimento dell’obiettivo viene privilegiato rispetto all’estetica. L’esempio? Guardiola al Bayern, ha vinto, senza tuttavia riscuotere il successo avuto in altre avventure, addirittura dovendo affrontare dissapori con i colleghi teutonici che lo accusavano di aver modificato troppo lo stile e la mentalità del pallone germanico.

Guardando a casa nostra, siamo fantasiosi e brillanti ma in questo periodo storico manca la fame intesa come necessità, cosa fondamentale per raggiungere grandi obiettivi. La colpa? È anche nostra perché abbiamo perso i nostri figli, consegnandoli ai social. Mi è capitato in carriera di vedere ragazzi negli spogliatoi, con la testa china sul telefono per tutto il tempo, una scena che fa male al calcio e alla vita. La ricetta? Creare allenatori che operino con lo stesso spirito con cui lavora il meccanico, con la stessa cultura e la stessa idea. Se in un ragazzo mostra di avere talento, va curato, annaffiato, bisogna essere capaci di capire l’uomo e poi il calciatore, bisogna essere bravi a far funzionare il talento, allenare il ragazzo in maniera mirata, abituandolo ad affrontare la situazione di difficoltà, intervenendo nel processo di crescita e fornendo spiegazioni e non soluzioni. In questo modo il ragazzo si sentirà l’artefice del cambiamento, il protagonista, non la parte che lo subisce.

Ecco, questo a mio parere sarebbe il salto di qualità, ma considerando che a raccontarvi la sua visione è un tecnico di esperienza al momento disoccupato, il tutto potrebbe essere derubricato ad un mucchio di sciocchezze. Forse. La cosa sulla quale mi sento di non sbagliare è la considerazione che il calcio attuale sembri essere più alla ricerca di addetti ai lavori che abbiano “conoscenze”, che allenatori che abbiano conoscenza. Ogni riferimento non è causale".

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